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giovedì, 21 Novembre 2024
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Nel cuore di Napoli, il Borgo degli Orefici

di Luigi D’Aniello-

Nella sua introduzione alla guida di Napoli, Vittorio Gleijeses la definiva così: Napoli nobilissima, Napoli fedelissima, Napoli imprevedibile, Napoli città impossibile, appellativi tutti pienamente meritati.

Ma Napoli, nonostante tutto, resta una delle città più belle d’Italia, e più la si conosce e più la si ama perché ogni pietra di Napoli trasuda arte e storia.

Uno di questi luoghi a me molto caro, che ho frequentato quando ero studente presso la Facoltà di Lingue presso l’Istituto Universitario Orientale di via Mezzo Cannone e che ancora oggi frequento, è il Borgo degli Orefici che si trova tra Corso Umberto e via Marina, in un’area tra il mare e il percorso meridionale delle mura greco-romane. E’ qui che da sempre si pratica un mestiere antico di 700 anni; è stato questo, infatti, il distretto produttivo orafo più importante fino a quando non è sorto il Tarì di Marcianise, ma ancora oggi tra i suoi vicoli sono racchiuse tutte le professionalità della filiera orafa: il platinatore, l’incastonatore, il tagliatore, il fonditore, il lamellatore e l’ebanista. Insomma un patrimonio storico, artistico, culturale ed economico inestimabile.

Il cuore di questo borgo è Piazza Orefici, dove,  ai tempi di Giovanna I d’Angio, gli orafi che qui avevano le proprie botteghe, ebbero il riconoscimento ufficiale con la nascita della corporazione orafa.

E’ in questo slargo, che durante il XIV e il XV secolo per garantire la purezza e la qualità dei materiali avveniva la fusione dell’oro, fuori dalle botteghe e alla presenza dei rappresentanti della Corporazione, del Conte del Sedile e dei cittadini.

Una delle figure più rappresentative di questa categoria è stato l’orafo napoletano Matteo Treglia che realizzò la Mitra di San Gennaro, in oro e argento con 3964 pietre preziose, 358 diamanti e 43 smeraldi,  a cui nel 2015 il Comune di Napoli ha intestato una targa, proprio in Piazza Orefici.

Tra questo borgo e Piazza Mercato si trova una delle tante belle chiese pregne di arte e di storia che mi ha sempre affascinato per la sua atmosfera e per le vibrazioni che mi trasmette: la chiesa di Sant’Eligio, con l’arco omonimo, detto anche dell’orologio, con due testine in marmo negli angoli, dette capuzzelle, che,  secondo la leggenda, rappresenterebbero la testa del giovane Antonello Caracciolo e di una giovane vergine sua vassalla.

Si racconta che durante il regno di Isabella d’Aragona, duchessa di Milano e figlia di Alfonso II, un Caracciolo invaghitosi di una giovane vergine sua vassalla, per averla, ne imprigionò il padre.

La ragazza pur di salvare la vita del padre ne subì la violenza, ma il padre una volta liberato si recò presso Isabella d’Aragona chiedendo giustizia.

Così la regina fece condannare Antonello a morte sul patibolo del Campo del Moricino, l’attuale Piazza Mercato e  pretese che la fanciulla, vestita di bianco, lo accompagnasse e prima che fosse decapitato il Caracciolo, pretese che questi la sposasse lasciandole tutti i suoi beni.

Alla richiesta del perdono da parte del duca Antonello, la regina rispose che la decisione spettava alla ragazza, la quale stava sul punto di perdonarlo, quando, tra la folla, vide il volto di un vecchio urlante e ne morì per lo spavento. A questo punto Antonello fu spacciato e la sua testa rotolò accanto al corpo senza vita della ragazza.

Qualche giorno dopo, la regina volle che le teste dei due giovani fossero scolpite sull’arco accanto alla chiesa.

Più avanti, nel nostro camminare per il borgo, troviamo l’antica chiesa di San Giovanni a Mare, dove, il 24 giugno, si celebrava la festa del santo e si narra che, alla vigilia,
Re Alfonso, passando per Via Purgatorio ad Arco, ex Vico Rota e poi Vico Fico, fu colpito dalla bellezza di una giovane popolana, Lucrezia d’Alagno che lo tenne legato sentimentalmente a se fino alla sua morte.

Si narra anche che, durante la festa di San Giovanni che durava più di una settimana, alcuni orefici senza scrupoli vendessero oggetti senza valore agli ignari visitatori provenienti dalla provincia, facendo passare per oro l’ottone e pietre false per pietre preziose. Per evitare queste truffe, Pietro Antonio Ciriello, nel 1781, obbligò gli orefici a punzonare gli oggetti d’oro.

Napoli ha tanta storia, tanti aneddoti, tanta arte, tanti tesori nascosti che a mio parere non basta una vita per riscoprili tutti.

Si… Napoli, più la si conosce e più la si ama!

 

 

 Mitra di San Gennaro Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0

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